Non riuscirò mai a mostrare le foto di bambini poveri, vestiti di soli stracci logori, con la pancia gonfia, perché ci sono cose che né una foto né un filmato possono mostrare. Ciò che vorrei far sapere al mondo, invece, è tutta la rabbia, l’indignazione e la pena che riempiono il mio cuore.
In Africa ho visto centinaia di bambini sorridenti che ti corrono incontro sperando in un regalo, una caramella, mentre centinaia si avvicinano dall’altro lato della strada ho visto un bambino di circa 7 anni. Lui rimaneva fermo al margine, osservava tutto, soprattutto noi, i nostri vestiti puliti, le scarpe nuove. Quando ha incontrato il mio sguardo ha abbassato la testa, i suoi occhi son diventati sfuggenti, cercava disperatamente di tirare e aggiustare quella maglietta sporca e corta che non riusciva a coprirlo abbastanza, che purtroppo, non lo rendeva invisibile al mio sguardo, si vergognava. Se hai un cuore non puoi rimanere indifferente. Per il rispetto di te stesso devi fare qualcosa.
Sarebbe stato semplice cancellare tutto, vilmente, girare la testa dall’altra parte e fare finta di non aver mai visto quel bimbo, tornare a casa e non pensarci più. Poi in un secondo tempo se la coscienza dovesse farsi sentire, basterà cercare alcune buone scuse per farla stare in pace e dare la colpa a qualcun altro. Di colpe e scuse ne ho sentite tante e questa una buona lista:la colpa è di questi africani che fanno troppi figli, la colpa è dell’ignoranza, delle multinazionali e della globalizzazione, colpa dell’imperialismo, del colonialismo, del clima, della diversa cultura, del destino infame e tanto altro. Colpa di tutti, ma non di quel bambino. Non è colpa di quel bambino, se oggi non ha mangiato, se non ha le scarpe e non è andato a scuola, se probabilmente non arriverà mai a compiere 12 anni. Questo elenco di colpe a lui non servono a niente e ammettiamolo che non servono neanche noi.
A noi, invece, serve il coraggio per combattere tutti i giorni perché quel bambino possa mangiare, avere un vestito pulito, andare a scuola, crescere e diventare adulto.Dobbiamo trovare un modo per aiutarlo, dando il lavoro ai suoi genitori e gli strumenti necessari perché poi un domani non ci sia più bisogno del nostro aiuto.
Donare il domani a coloro che non lo hanno significa anche per noi credere nello stesso domani, senza ascoltare chi ci ripete che tanto non cambia mai nulla e quindi tanto vale non fare nulla, senza ascoltare i maestri dell’odio e dell’egoismo.
Credere e lottare contro l’indifferenza e le porte che molti ci chiuderanno in faccia, contro tutto il cinismo che ci circonda, contando sulle nostre forze e fare del nostro meglio, perché quel bimbo che oggi si vergogna di se stesso, domani, possa finalmente alzare la testa, guardarci negli occhi, avere una speranza, sorriderci e stringerci le mani. Così domani, incontrandolo, lo potremo ringraziare anche noi perché ci ha donato il coraggio, la consapevolezza della nostra forza, la speranza e il rispetto per noi stessi.
Barka Burkina!!!
Andrea Magrini